Il cervelletto nella memoria emozionale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 15 ottobre 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il rapporto del cervelletto con la memoria per decenni è rimasto circoscritto all’apprendimento motorio ma, ormai da tempo, si indagano altre possibilità che, non solo rendono conto dell’attivazione di regioni cerebellari evidente al neuroimaging durante numerosi processi psichici, ma contribuiscono a ridefinire il posto del cervelletto nella fisiologia dell’encefalo umano, giustificando nella nostra specie l’enorme sviluppo neocerebellare proporzionato ed evolutivamente simultaneo a quello della corteccia cerebrale. Infatti, il cervelletto è stato studiato a lungo come partner della corteccia cerebrale, della quale ha seguito l’espansione nel corso dell’evoluzione, acquisendo un volume nella specie umana che non ha uguali nelle altre specie di primati.

La nostra società scientifica è impegnata fin dalla sua fondazione[1] a promuovere la conoscenza dei risultati della ricerca sul cervelletto e, presentando e interpretando le nuove acquisizioni, ha precorso i tempi nel superamento della concezione classica di struttura esclusivamente dedicata alla regolazione e al controllo posturale e del movimento. Lo studio dei numerosi processi psichici cui prendono parte i sistemi neuronici cerebellari ha contribuito al più generale cambiamento di impostazione e prospettiva della neurofisiologia degli ultimi due decenni.

Nella triade clinica indicatrice di lesione cerebellare nella neurologia classica, ossia nistagmo, tremore intenzionale e parola scandita, è già incluso un elemento, quale quello del controllo dell’esecuzione locutoria, che poteva far presumere l’impiego dei pattern di elaborazione cerebellari nei più disparati processi, secondo un criterio di necessità neurobiologica e non di modalità. In ogni caso, oggi è stato provato l’intervento del cervelletto in processi cognitivi, affettivi ed emozionali, ma queste nuove acquisizioni non sminuiscono il rilievo della sua regolazione posturale, motoria e dell’equilibrio.

E il ruolo del cervelletto nella regolazione del tono muscolare e della postura rimane di assoluta importanza neurofisiologica; basti pensare che, in un atto semplice come allungare il braccio per prendere un volume di grandi dimensioni dalla mensola di una libreria, il verme cerebellare interviene con un’attività anticipatoria: i primi muscoli attivati non sono i flessori della spalla, del braccio o delle dita, ma i flessori plantari della caviglia che consentono all’avanpiede di puntare in terra e spingere lievemente all’indietro gli arti inferiori e il tronco nel momento in cui si effettua la prensione del libro. In tal modo il cervelletto, soprattutto attraverso la specializzazione vermiana, con un’anticipazione compensatoria evita squilibri posturali e consente il mantenimento della stazione eretta. Quando la presa è in atto, la regolazione propriocettiva dei muscoli estensori della colonna vertebrale corregge con il peso del libro la taratura per il braccio proteso, così da prevenire l’oscillazione in avanti di testa e tronco. Simultaneamente, il controllo labirintico informa il cervelletto di qualsiasi spostamento in avanti del capo e innesca l’appropriata risposta antigravitaria attraverso uno o entrambi i tratti vestibulospinali.

Questo ruolo è stato studiato e analizzato dettagliatamente a partire da quadri clinici descritti in neurologia: il danno patologico o traumatico del verme causa la perdita della compensazione anticipatoria neuromuscolare del tronco, con la conseguenza di uno sbilanciamento del corpo nella direzione del gesto di prensione che, nei casi più gravi comporta la caduta. Il danno al lobo anteriore del cervelletto, pur comportando una perdita di attività anticipatoria, consente un compenso attraverso l’ampliamento della base posturale di stazione, determinando atassia.

L’attualità degli studi sui rapporti tra memoria e cervelletto riguarda la possibilità che questa struttura dell’encefalo rinforzi le memorie emozionali umane. Matthias Fastenrath e colleghi coordinati da Dominique de Quervain hanno indagato questa possibilità in un vasto campione di volontari, che ha consentito loro di ottenere dati molto significativi.

In generale, è noto che una memoria per gli stimoli emozionali accresciuta e consolidata è di importanza cruciale per la sopravvivenza degli animali in ambienti naturali ma, nella realtà umana indagata anche dagli autori dello studio qui recensito, si esplorano altri aspetti: in caso di esperienze traumatiche può contribuire allo sviluppo e alla cronica persistenza di gravi disturbi d’ansia; così come è noto, all’estremo opposto, che il suo deficit è associato a condizioni quali i disturbi dello spettro dell’autismo.

Nello studio di immagini funzionali cerebrali di ampia scala condotto da Fastenrath e colleghi, sono state identificate le connessioni cerebellari e cerebello-cerebrali implicate nel fenomeno della memoria superiore per informazioni visive scatenanti intense emozioni. Le osservazioni, di cui si dirà con maggior dettaglio più avanti, espandono la nostra conoscenza sul ruolo del cervelletto nei processi cognitivi ed emozionali complessi e possono anche, in qualche modo, contribuire alla comprensione di aspetti ancora inesplorati della fisiopatologia di disturbi psichiatrici come il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), i disturbi dello spettro dell’autismo (ASD) e tutti gli altri disturbi in cui le memorie emozionali sono persistenti, aberranti o apparentemente assenti.

(Fastenrath M. et al., Human cerebellum and corticocerebellar connections involved in emotional memory enhancement. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 119 (41): e2204900119 – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas. 2204900119, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Division of Cognitive Neuroscience, Faculty of Medicine, University of Basel, Basel (Svizzera); Research Platform Molecular and Cognitive Neurosciences, Basel (Svizzera); Division of Molecular Neuroscience, Faculty of Medicine, University of Basel, Basel (Svizzera); Department of Cognitive Neuroscience, Radboud University Medical Center, Donders Institute for Brain Cognition and Behaviour, Radboud University, Nijmegen (Paesi Bassi); Psychiatric University Clinics, University of Basel, Basel (Svizzera);

[Edited by James McGaugh, The University of California Irvine, Irvine, CA (USA)].

Riteniamo possa essere utile per il lettore un richiamo all’anatomia del cervelletto, che qui si riprende per la parte relativa alla corteccia da un nostro articolo di due anni or sono[2] e, per la struttura nucleare all’interno delle lamine midollari, da un articolo dello scorso anno[3].

Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.

Il fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[4]. A differenza del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.

La corteccia del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.

L’esame microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.

Fra queste due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.

Le cellule di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire fino alla superficie piale”[5], secondo la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico. È interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande per traverso alla lamella”[6].

Dal polo opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[7], presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la via cortico-nucleare cerebellare.

In estrema sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere schematizzata come segue.

1)      Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.

2)      Lo strato granuloso, interno, caratterizzato dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a pennacchio, particolari elementi della glia descritti per la prima volta da Cajal.

3)      Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto istologico”.

 

La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori. Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[8].

Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.

Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.

Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione dei piccoli interneuroni detti granuli.

Una descrizione anche sintetica dell’organizzazione funzionale della corteccia del cervelletto richiederebbe uno spazio di dimensioni sproporzionate in rapporto al testo e all’oggetto dell’articolo, per cui si rimanda alle trattazioni di neuroanatomia funzionale, corredate da immagini che consentono la comprensione dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione spaziale di questi sistemi neuronici[9].

All’interno della struttura del cervelletto le lamine midollari confluiscono formando una massa di sostanza bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso, emboliforme e nucleo del tetto.

Il nucleo dentato è il più grande e laterale dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente ripiegata, che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni e dendriti dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30 micron). La sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura rivolta in direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che contribuisce alla costituzione del peduncolo cerebellare superiore.

Il nucleo globoso (o n. posteriore interposto) è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo con il nucleo del tetto. Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme le fibre dei suoi neuroni entrano nella costituzione del peduncolo cerebellare superiore.

Il nucleo emboliforme (o n. anteriore interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente con il nucleo dentato.

Il nucleo del tetto è localizzato in prossimità della linea mediana, al margine del tetto del quarto ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente di grandi dimensioni (40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia nella sostanza bianca della commessura cerebellare[10]. Dopo la loro decussazione, costituiscono il fascicolo uncinato che passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore per giungere al nucleo vestibolare del lato opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo vestibolare omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo cerebellare superiore[11].

La sperimentazione recente ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che hanno dimostrato un ruolo del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in particolare modulando il circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio e il comportamento sociale.

I nuclei del cervelletto possono essere definiti sub-strutture che trasferiscono informazioni elaborate nel cervelletto da questa sede ad altri territori dell’encefalo. Un elemento caratteristico della specie umana è il notevole sviluppo della connessione di questi aggregati grigi con la corteccia cerebrale del lobo frontale.

Ritorniamo, ora, alle memorie emozionali e alle questioni che direttamente riguardano i contenuti del lavoro di Matthias Fastenrath e colleghi qui recensito.

Un numero considerevole di studi ha dimostrato che le esperienze caratterizzate da evocazione di risposte emozionali sono ricordate meglio di quelle “neutre”. In particolare, mentre è noto che forti attivazioni emotive per stress intenso o trauma possono disturbare fino a impedire il richiamo mnemonico, come accade in fase acuta ai sopravvissuti a un terremoto, a un incidente aereo, a una calamità, a un bombardamento, ecc., è ugualmente noto che l’attivazione emozionale contribuisce alla fissazione dei ricordi nel cervello umano. Estese evidenze indicano che l’amigdala e il suo sistema neuronico di interazioni dinamiche con numerose aree e regioni cerebrali svolge un ruolo importante nell’effetto di rinforzo emozionale delle memorie.

Il cervelletto – come è stato provato da tempo – ha un ruolo ormai riconosciuto nel processo di condizionamento della paura ma, osservano Fastenrath e colleghi, il suo ruolo nel potenziamento emozionale della memoria episodica umana non era affatto chiaro e, per questo, il loro gruppo di ricerca ha intrapreso uno studio di neuroimmagine funzionale in grado di analizzare le connessioni e valutarne la rilevanza fisiologica.

È stato impiegato un approccio whole brain fMRI (functional magnetic resonance imaging), ossia di risonanza magnetica funzionale (RMF) estesa all’encefalo intero in 1.418 partecipanti non affetti da malattie neurologiche e in apparente buona salute.

In questo modo, i ricercatori hanno innanzitutto identificato blocchi (gruppi) di connessioni significativamente attivate durante la codificazione potenziata di immagini emozionanti sia positive che negative. Poi, in aggiunta alle regioni cerebrali ben note come base neurobiologica delle memorie emozionali, hanno identificato un blocco di connessioni nel cervelletto.

Fastenrath e colleghi hanno allora impiegato un sistema di modeling causale dinamico, e così hanno individuato varie connessioni cerebellari con accresciuta forza connessionale corrispondenti alle memorie emozionali potenziate; fra queste, hanno evidenziato una connessione presso un gruppo di connessioni che comprendeva amigdala e ippocampo, e poi connessioni bidirezionali con un gruppo di fibre che copriva la corteccia cingolata anteriore.

Dall’insieme dei dati emersi dall’analisi dell’attività connessionale dell’encefalo dei 1.418 volontari, il cervelletto appare come parte integrante di una complessa rete che media il potenziamento emozionale della memoria episodica.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-15 ottobre 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] In realtà, come si evince dall’intervista del 2003 al nostro presidente, i soci più anziani erano al corrente da decenni delle nuove acquisizioni sul cervelletto. Scorrendo l’elenco delle “Note e Notizie” dall’inizio agli anni recenti, si trovano decine di interessanti recensioni di studi su nuovi ruoli neurofunzionali del cervelletto.

[2] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.

[3] Note e Notizie 23-01-21 Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive.

[4] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.

[5] Testut e Latarjet, op. cit., vol. III, p. 242.

[6] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.

[7] Ricordiamo che fu Purkinje, lo scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.

[8] Llinas R. R., La corteccia del cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello – organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le Scienze Editore, Milano 1978.

[9] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.

[10] È interessante notare che non si tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso, ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.

[11] Note e Notizie 23-01-21 Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive.